Disco di canzone d’autore di Alberto Cantone, uscito nell'estate 2008 per l'etichetta "Storie di note":
C'ERA UN SOGNO PER CAPPELLO - CD, 2008 - "Storie di Note" |
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Una
lunga canzone d'amore per i pazzi e sognatori, quella che si snoda
lungo i 12 brani (più una ghost-track) dell'ultimo disco del
cantautore trevigiano Alberto Cantone e che segue a distanza di quasi
tre anni il precedente "Angeli e ribelli".
O
una dichiarazione di militanza nella dimensione del sogno e della
follia che è dentro di noi, anche se sempre più sopita
e marginale perché "i
sogni sono concessi solo ai giovani ed ai pazzi … ma da
qualche tempo ai giovani un po' meno",
come recita il testo di una delle 12 tracce, in due versi riportati
anche in controcopertina come epitaffio e morale generale di tutto il
disco.
Un
disco ricco e composito, quasi un concept-album dal filo leggero,
dove si racconta di Hemingway, con il vecchio Ernie alle prese fra i
suoi ricordi e il presagio della morte in una delle sue nottate
solitarie di caccia nella botte nella laguna di Caorle (dove è
anche registrato il brano), scampolo degli ultimi giorni felici del
celebre scrittore, nel punto esatto in cui la straordinaria vitalità
dell'uomo (la guerra di Spagna, il ferimento durante il primo
conflitto sulle sponde del Piave, gli amori, la corrida, la pesca, e
poi le battute di caccia in Africa, il mare, il pugilato) si incontra
con il suono suadente e malinconico della fine, dell'oblio e della
depressione (Hemingway era quello che si dice una personalità
"bipolare").
O
dell'eroe maledetto del calcio, George Best, che in verità
potrebbe essere anche un ubriacone millantatore che farnetica di
essere George Best, e che racconta della propria incapacità di
realizzare il suo sogno - o delirio - di irrisione e di onnipotenza:
dribblare tutta la squadra avversaria e segnare un goal con il naso
durante una finale di Coppa dei Campioni, e che si contenta di
vincere in un modo banale, come qualunque essere umano dell'arte
pedatoria, e mentre il pubblico gioisce comincia a morire.
Dove
si dice che la saggezza è "un
mantello di timore / è il cappello degli sbirri e dei gendarmi
/ e del pudore / io la lascio volentieri con le chiavi, l'orologio e
le manette / ad aspettarmi",
insomma è "una
sfera di cristallo / dove è già tutto previsto e tutto
muore", "il racconto e non la vita .. per chi non ha più
il coraggio".
E
allora inno alla follia, alla capacità di rimanere fanciulli o
incoscienti!
Alla
larga da una saggezza che è solo "una
pietra che si posa sopra il cuore / lentamente, mentre passano le
ore".
In
realtà qualcuno potrebbe opinare che se la vita non ci rende
un po' più saggi, a che vale vivere?
Ma
l'arte non dice la verità, non è maestra a nessuna e
niente ha da insegnare.
La
sua è una vocina interiore che parla la lingua del sogno o
della follia, che ci racconta in modo credibile apparenti e
lusinghiere conclusioni verosimili, per far reagire la nostra
coscienza e affermare che anch'essa è bugia, solo un po' più
ipnotica e dolcemente capace di innamoramento.
Così
ci può dire che l'amore è vanità, un feticcio
che riflette solo il nostro narcisismo, il bisogno di rispecchiarci
in un pubblico, cosicché lo specchio che "ce la fa
apparire la più bella del reame" non è altro che
uno specchio menzognero e fragile che nasconde la tentazione
ingannevole e quasi inevitabile di innamorarsi dei nostri bisogni e
delle nostre attese.
"Così
una brutta notte, con luce troppo viva / ho voluto illuminare il suo
volto che dormiva / Le ho avvicinato al viso fiamma di candela / il
mio amore ha preso il volo, si è sciolto con la
cera".
Decisamente
in tema psichiatrico - e di qui la dedica del disco a Franco basaglia
e ad Oliver Sachs (due studiosi sognatori che hanno dedicato la loro
vita rispettivamente all'(anti)psichiatria e alla neurologia - "Una
moneta nella testa", in cui si parla di un folle che per far
uscire un soldino entrato nella sua testa cammina a testa in giù,
accorgendosi della maggiore bellezza e giustizia del mondo capovolto
oppure "Terapia" (unico brano di altro autore, scritto
interamente dall'armonicista Marco Napoletano) o infine "Mal di
luna", traccia conclusiva e struggente in cui si parla con toni
apparentemente ninnanti e romantici di un amore straziante e
impossibile per una persona malata di schizofrenia, il "Mal di
luna" appunto, come la malattia mentale veniva definita
attraverso pudica iperbole nelle comunità antiche e rurali
della Carnia.
Dopo
anni di concerti, di attività di promozione della musica in
varie forme nella difficile realtà trevigiana e nordestina, di
diffusione quasi porta a porta della canzone d'autore (compreso il
lavoro "filologico" di difesa della memoria e della
tradizione cantautorale, anche con spettacoli dedicati a Fabrizio De
Andrè e a Luigi Tenco, portati in giro in tutta Italia e fino
al confine austro - boemo), "C'era un sogno per cappello"
rappresenta l'ultima fatica del cantautore trevigiano e del suo
gruppo di amici-musicisti, tra i quali alcuni cantautori dell'area
trevigiana e veneta (Leo Miglioranza, Davide Camerin, che firma anche
la ghost-track satirica, una parodia delle canzoni del precedente
disco di Cantone) avvalorata dalla partecipazione di alcuni dei più
interessanti musicisti del panorama veneto, dal jazz al blues al
rock, conferendo - come d'abitudine - al disco una dimensione quasi
di jam-session o di "foto di gruppo" del panorama musicale
e cantautorale trevigiano.
Una
nota a parte merita la partecipazione di Claudio Lolli, maestro di
canzone d'autore per più di una generazione, che presta la
propria voce per la conclusione de "La mia città",
il brano più duro e al limite del vilipendio del disco, che
Cantone dedica anche se non esplicitamente a Treviso, al suo
intreccio fra l'essere città gaudente e leggiadra, ma anche
capace di straordinaria superficialità e di criminosa
indifferenza, sullo sfondo di esibizioni e squallide esternazioni
razziste a cui ci ha abituato da alcuni anni la classe dirigente che
l'amministra.
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www.storiedinote.com)